EVA REGUZZONI: IL RITO DEL RICORDOIntervista a cura di Elisa Lancini
Dopo uno studio approfondito delle opere, è interessante notare come la tua ricerca si basa principalmente sull’ introspettività. Il tuo è un viaggio intimo, viscerale, che percorre la dimensione irrazionale del preconscio per aprire un passaggio tra interno ed esterno. Da dove nasce questa esigenza?
Ho sempre avuto il bisogno di dialogare con qualcuno, quindi ho preferito dialogare con i miei lavori e nel farlo sono riuscita ad ottenere un legame, uno scambio di idee tra il materiale ed il pensiero. Da questa mia necessità è nato questo “dialogo”, dove riesco a trasportare i miei sentimenti, che possono essere sempre qualcosa in meno della felicità ma comunque sono legati ai sentimenti più intimi che mi portano a riflettere e a chiedermi: “Sto facendo la cosa giusta? La sto facendo bene ?”. Questo pensiero lo riesco a trasportare nei miei lavori e loro mi danno la forza di liberarlo. Proprio per questo sono stimolata a trasportare il mio interno sull’esterno e l’esterno nell’interno. Le tue opere possono essere considerate dei “non finiti”, come il tuo approccio che lascia ampio spazio al caso e alla disgregazione. In modo particolare le opere denominate Pensa e ti dirò e Remember rispecchiano perfettamente l’associazione alla casualità e alla libertà. Sembra che ti interessi maggiormente il processo creativo, piuttosto che la forma estetica… Considero fondamentale il processo creativo perché trasforma una materia in un’altra, in questo caso, trasforma i sentimenti. Pensa e ti dirò, lo trovo molto interessante perché io ho pensato ad una cosa, te lo vedi, lo pensi anche te ed in fine io ti dirò quello che ho pensato. I miei lavori vogliono suscitare queste domande, un po’ come un gioco che cerco di creare con loro.
Remember, parte di elementi naturali che ho raccolto nel mio giardino, elementi che sono senza vita. La mia idea è stata quella di avvolgerli con una superfice intrecciata, come per dire: “Il mio ricordo ti ricorda, ti recupero, ti riassemblo e ti ridò una nuova vita”. Il mio obbiettivo è cercare di farti ricordare come eri, attraverso il passaggio che c’è stato. Assemblando assieme tutti questi elementi, che di per sé
possono essere considerati vecchi e brutti, gli si può ridare una nuova vita, trasformandoli e rendendoli unici. Io, di fatti, non mi soffermo sulla forma estetica, quando lavoro io non penso a come verrà il lavoro finito, anzi, io lavoro e assemblo in un determinato modo perché mi lascio trasportare da ciò che sento in quel momento.
Nel mio caso non si possono progettare i lavori, perché i sentimenti vanno ascoltati e creano libertà. Spesso quando parli del suo modo di fare arte ricorre all’attrazione dei cambi di umore, che sono generati dall’instabilità degli stati d’animo. Questo, come affermi, ci rende sensibili e vulnerabili, così come le tematiche costanti di turbamenti e rotture, che ritroviamo costantemente nei tuoi lavori. L’animo umano è quindi il centro della sua ricerca artistica? Io cerco di rispecchiare un po’ tutte le persone e attraverso questi cambi di umore, essi possono liberarsi da queste tensioni.
Quando una persona è tesa, ha la necessità di liberarsi da queste sensazioni che la turbano per sentirsi più leggera, così come le mie opere, hanno la necessità di liberarsi da tutte le tensioni. Probabilmente non sarò l’unica, anzi, come altri artisti prima di me, hanno lavorato su queste tematiche e bisogna avere una certa sensibilità, perché tutti noi siamo diversi e ci sono persone che possono esprimere queste sensazioni in una determinata maniera e chi le esprime diversamente.
Molti mi hanno detto, guardando i miei lavori: “Si vede che i tuoi lavori sono femminili”, sono d’accordo, anche se pensando al miglior modo per esprimere i miei sentimenti non reputo opportuno utilizzare il ferro o dei materiali pesanti, ma opto principalmente per l’utilizzo di materiali sensibili come la carta, dove posso imprimere i miei pensieri, oppure su materiali che hanno una certa fisicità, come possono essere la ceramica o il legno.
Con il legno cerco di recuperare la sua anima, attraverso la tecnica del frottage, cerco di recuperare il suo ricordo e faccio sì che la mia mano si muova e poi si fermi nell’attimo esatto. Guardando alcune delle tue opere il pensiero va al grande maestro Alberto Burri, protagonista dell’informale materico e precursore dell’arte povera. L’artista, dopo aver realizzato l’opera Sacco e rosso, affermava: “Nel sacco trovo quella perfetta aderenza tra tono, materia e idea che nel colore sarebbe impossibile”. Anche te quando realizzi Foglie secche pensi alla materia come elemento fondante dell’opera stessa? Sia io che Alberto Burri, cerchiamo di recuperare la vitalità del materiale stesso, non sono materiali inerti.
Come l’artista, Alberto Burri, anche io utilizzo il fuoco perché lo considero fondamentale, può trasformare tutto e far nascere nuove tensioni ed una volta realizzate il fuoco si spegne, diventa cenere e tutto finisce. Può essere visto come qualcosa di negativo, ma in questo caso lo considero come una rinascita, le opere possono far rinascere un sentimento che c’era. Burri afferma che il colore gli suscita una sensazione diversa, mentre io il colore, nel mio caso, lo considero un sotto tono, per cui i materiali, a differenza del colore mi danno una grande forza e senza di essi probabilmente non riuscirei a creare.
Collegandoci alla mostra Eva Reguzzoni: Il rito del ricordo, ci sono pezzi di legno con segni della lama mentre venivano tagliati e quindi ci si sofferma sulla rottura, le foglie che prima avevano la linfa e quindi erano vive e vegete…mentre ora hanno una superfice vibrante e leggera, ti fa pensare che qualcosa prima c’era e ora non più.
La tua poetica ruota principalmente intorno al tema del ricordo, e si esprime attraverso il ricamo e l’imprimere forme con l’inchiostro. Penso alla poesia di Gabriele D’Annunzio “un ricordo”, dove il poeta parla e descrive il ricordo come un’esperienza quasi mistica… la vita scorre ed uno strano giorno tutto si ferma. Il ricordo diventa così stupore e meraviglia, l’incontro con quel ricordo fa sospendere la realtà, fa tacere persino il silenzio. Cosa muove il tuo bisogno di ricorrere al ricordo? Le mie opere sono molto silenziose e questo silenzio si rispecchia nella memoria e nel ricordo. Sono opere che cercano di tenere il proprio interno l’idea e allo stesso momento la vogliono far trapelare. Io da piccola ho avuto vicende che mi hanno portata a crescere diversamente rispetto ad un bambino normale e quindi queste sensazioni, con il passare del tempo, le ho sempre tenute per me, al mio interno. Con il tempo, attraverso una formazione artistica, ho iniziato a capire che avevo il bisogno di far uscire la negatività che avevo al mio interno.
Allora non mi sentivo completa nel realizzare le opere, perché non avevo ancora le idee ben chiare su ciò che volessi, avevo la necessità di liberarmi ma non era semplice, c’era bisogno del tempo e di capire in che modo far emergere le proprie sensazioni.
Ad oggi posso sentirmi completa mentre realizzo i miei lavori, perché sono riuscita a trovare il modo esatto, attraverso l’utilizzo: dei materiali, del ricamo e poche volte del colore.
Tutti questi elementi mi permettono di esprimere i miei stati d’animo.
Novara, 24/07/2022